Attività

LICENZIAMENTI PER GIUSTA CAUSA

L’infedeltà del lavoratore verso l’azienda

La fedeltà del dipendente del datore di lavoro: la possibilità di licenziamento dell’azienda nei confronti del lavoratore che non rispetta i doveri di legge. Si sente spesso parlare del dovere di fedeltà sul lavoro da parte del dipendente nei confronti dell’azienda e della possibilità, per quest’ultima, di procedere al licenziamento in tronco (quello, cioè, senza neanche preavviso) qualora, appunto, venga posto in essere un comportamento qualificabile come “infedele”. Ma la legge non precisa espressamente quali siano, concretamente, tali doveri di fedeltà; per individuarli è necessario leggere le sentenze dei giudici di primo e secondo grado o quelle della Cassazione e comprendere cosa, nei singoli casi, è successo. Ecco, quindi, questa breve guida per comprendere nel dettaglio questo generico, ma importantissimo, dovere relativo all’esecuzione del contratto di lavoro subordinato, sia esso part time o a tempo pieno, a tempo determinato o indeterminato.

Il dovere di fedeltà secondo il codice civile: di cosa si tratta ?

Oltre all’obbligo di obbedienza (consistente nel rispetto delle disposizioni impartite dal datore o dai suoi collaboratori per l’esecuzione e la disciplina del lavoro e, quindi, nel divieto di insubordinazione) il codice civile Art. 2105 impone al dipendente un altro fondamentale dovere: quello di fedeltà. La norma in questione fa rientrare, nell’obbligo di fedeltà, solo due divieti:

  • quello di fare concorrenza all’imprenditore nel medesimo settore commerciale o produttivo (divieto di concorrenza) per conto proprio o di terzi soggetti, svolgendo attività che sono potenzialmente (anche se non attualmente) produttive di danno; pertanto non è necessario raggiungere un vero e proprio profitto. Il divieto di concorrenza opera soltanto durante lo svolgimento del rapporto di lavoro e cessa a seguito della risoluzione del rapporto salvo che il lavoratore non abbia firmato, all’atto dell’assunzione o in un momento successivo, un patto di non concorrenza, che comunque va adeguatamente remunerato;
  • quello di divulgare notizie riguardanti l’organizzazione e i metodi di produzione, oppure di farne uso in modo pregiudizievole per l’impresa (obbligo di riservatezza). In particolare, il lavoratore non può divulgare le notizie attinenti all’impresa, né quelle coperte da segreto, né quelle che, pur avendo un carattere “neutro”, se diffuse all’esterno possono costituire un pregiudizio per il datore di lavoro. Si ritiene invece che non integri comportamento infedele il comunicare un’attività illecita del datore, come ad esempio l’assunzione in nero dei dipendenti o l’eventuale evasione fiscale.

Il dovere di fedeltà secondo i giudici

In realtà, secondo i giudici, il concetto di fedeltà è molto più ampio e si estende alla necessità di tenere un comportamento leale onde salvaguardare sempre gli interessi del datore di lavoro e non “remare contro”
l’azienda. Tale obbligo deve essere rispettato anche al di fuori dell’orario di lavoro e durante la sospensione del contratto: pertanto commette comportamento infedele chi, con gli amici, parla male dei prodotti dell’azienda ove lavora e del suo capo. Ecco alcuni dei casi principali in cui il comportamento del dipendente è stato considerato infedele e, quindi, passibile di licenziamento o, nei casi meno gravi, di sanzione disciplinare:

  • esibizione di certificato medico falso
  • utilizzo dei permessi della legge 104 del 1992 per finalità differenti o impiego anche solo di una parte della giornata per attività differenti da quelle relative alla cura del familiare invalido (ad esempio, il caso del dipendente che abbia chiesto i giorni di permesso retribuiti, ma che sia stato colto a passeggiare con gli amici o ad andare, di notte, in discoteca);
  • ritardata guarigione e compromissione, con il proprio comportamento, dei tempi di convalescenza da una malattia (per esempio, il dipendente che sia stato colto a lavorare per propri affari benché coperto dal certificato medico);
  • utilizzo del congedo parentale per finalità diverse da quelle della cura dei figli;
  • criticare apertamente, su Facebook o in pubblico, i prodotti dell’azienda datrice di lavoro o l’imprenditore, anche partecipando – con un semplice like – a una discussione in cui viene disprezzato il datore;
  • svolgimento, durante il normale orario di lavoro, di attività a favore di terzi concorrenti fingendo di svolgere il lavoro affidato;
  • attività preparatoria di una futura impresa che si concreta in atti, sia pure iniziali, di gestione o costituzione di una società per lo svolgimento della medesima attività svolta dal datore di lavoro;
  • cura degli interessi di terzi in contrasto con quelli del datore di lavoro;

Il licenziamento per giusta causa è un licenziamento di tipo disciplinare, che si giustifica per condotte del dipendente talmente gravi da non consentire la prosecuzione del rapporto di lavoro per neanche un giorno; esso avviene perciò in tronco e senza preavviso.

Quando si rischia il licenziamento per l’abuso dei permessi della Lg. 104/92 ?

La Suprema Corte, con sentenza n. 18411/2019, ha dichiarato legittimo il licenziamento irrogato nei confronti di un lavoratore che, nel corso dei permessi richiesti ex art. 33 comma 3 L.104, non aveva di fatto prestato la propria assistenza e cura a favore del familiare disabile.

Sul punto, è opportuno, comunque, evidenziare che la giurisprudenza di merito ha recentemente chiarito che il concetto di assistenza non debba intendersi come vicinanza continuativa e ininterrotta alla persona disabile, posto che la cura di un congiunto affetto da menomazioni psicofisiche, non in grado di provvedere alle esigenze fondamentali di vita, spesso richiede interventi diversificati, non implicanti la vicinanza allo stesso (Corte appello Campobasso sentenza n. 257 del 26/10/2019) Sarà pertanto il giudice di merito a valutare caso per caso la condotta posta in essere al fine di vagliare circa la sussistenza del rapporto di proporzionalità fra la sanzione espulsiva irrogata e il contegno tenuto dal lavoratore.

Chi accerta la malattia del dipendente?

Il controllo sullo stato di malattia del lavoratore può essere chiesto dal datore di lavoro e dall’INPS ed è accertato dal medico dell’ASL o dal medico dell’ente previdenziale INPS. In particolare i medici fiscali effettuano sia gli accertamenti sanitari sia il controllo della certificazione medica durante le visite fiscali. I medici ASL accertano lo stato di malattia dei dipendenti pubblici, mentre per i dipendenti privati oltre ai medici ASL, se il lavoratore è assicurato presso l’INPS per l’indennità economica di malattia, sarà l’istituto previdenziale stesso a provvedere ai controlli a campione.

Il datore di lavoro può far svolgere accertamenti ulteriori rispetto a quelli sanitari?

Il datore di lavoro può infatti richiedere la consulenza di ad un’agenzia di investigazioni per accertamenti di circostanze di fatto atte a dimostrare che la malattia non sussiste o la non idoneità della malattia stessa a determinare uno stato di incapacità lavorativa tale da giustificare quindi l’assenza dal lavoro del proprio dipendente. Solitamente queste investigazioni mirano a scoprire se il lavoratore svolge, durante la malattia, un’altra attività lavorativa, valutabile quale illecito disciplinare per l’eventuale violazione del dovere (proprio del lavoratore dipendente) di non pregiudicare la guarigione o la sua tempestività.

Infedelta’ Coniugale